03/06/2025
Ricordiamo la scomparsa di Ugalberto de Angelis con quest'articolo La Repubblica 3 marzo 2018
di Gregorio Moppi
Il compositore solitario che sapeva parlare all'anima
Il fato è stato inclemente con Ugalberto de Angelis, compositore fiorentino che oggi il 3 marzo, compirebbe 86anni, se non se ne fosse andato troppo presto,1982. Quello era, per l’appunto, un momento cruciale per la sua creatività, forse uno snodo per la carriera che avrebbe potuto indirizzarsi verso una dimensione internazionale. Infatti al momento della morte de Angelis stava lavorando a un pezzo che l’amico Riccardo Muti avrebbe voluto eseguire con l’Orchestra di Filadelfia. Un’esistenza troncata sul più bello, dunque è una musica la sua di un’espressività dolce e desolata, pudica, quasi incorporea, marchiata da un dolore trasfigurato in luminescenza, fluttuante nell’etere, al di là della storia, del tempo, che ondeggia tra astrattismo armonico, modalità arcaiche e tonalità disarcionate da ogni legame con il già sentito, cosicchè suona tanto distante dalla disumanità dell’avanguardia allora in voga , diceva de Angelis < Per quelli che sono considerati morti dalla società contemporanea>. La mia è veramente musica funebre, nel senso che è costantemente in rapporto con dimensioni diverse>. De Angelis (cugino di Giulio, traduttore dell’Ulisse di Joyce, e fratello maggiore del musicologo Marcello) cominciò piuttosto tardi gli studi musicali, abbandonò quelli tecnici. Al “Cherubini” si diplomò in c***o, ventisttene e per qualche tempo stette in orchestra.
Però la sua strada era la scrittura. A dischiudergliene i segreti furono Luigi Dallapiccola e Roberto Lupi, l’alfa e l’omega della composizione della Firenze del dopoguerra: l’uno era il severo alfiere italiano della dodecafonia, l’altro, apostolo dell’antroposofia, il profeta di una rigenerazione spirituale dell’umanità da compiersi attraverso la congiunzione con il cosmo. De Angelis, lui stesso legato all’ antroposofia, condivideva con entrambi l’urgenza etica del far musica, il non concedersi a compromessi.
Su di lui e sulla sua opera fa il punto adesso il volume
L’Errante, cammino di un musicista: Ugalberto de Angelis (1932-1982), racconta di saggi, edita da Lo Gisma, a cura di Maurizio Gagliardi e Michele Sarti (suo nipote, pure musicista, che però è troppo giovane per aver conosciuto il nonno).
Ne esce il ritratto di un compositore originalissimo e difilato, un aristrocratico dell’arte che di mestiere faceva il consulente musicale alla Rai, e per creare, si serrava nel suo studiolo all’Erta Canina largo malapena per rigirasi. Mai avrebbe sgomitato per farsi notare (la tessera del Pci non gli diede nessun vantaggio professionale); eppure, dal principio degli anni settanta, in molti cominciarono a rispettarlo. Per esempio Roberto Gabbiani, direttore del coro del Maggio sotto Muti. E luciano Berio. E il giovane Dino Ciani, che gli chiese una Sonata, solo che il grande pianista morì in un incidente d’auto mentre il compositore gliela stava terminando. E fedele d’Amico, che restò folgorato alla Chigiana ascoltandone i “Tre Canti”< arrossisco nel confessare d’aver ignorato finora il nome di questo compositore>, recensì nel 71 sull’Espresso, < giacchè questi suoi “Tre Canti valgono assai meglio che innumerevoli partiture di tanti suoi coetanei, le quali circolano senza ostacoli e di cui si parla e si scrive>. De Angelis in vita, fu suonato in prima esecuzione dal pianista Giancarlo Cardini, dai flautisti Roberto Fabbriciani e David Bellugi, dal Trio di Fiesole (di Andrea Tacchi, Andrea Nannoni e Garbio Fanti). Tuttavia gli strumentisti si avicinano titubanti alle sue opere, perché sapevano quanto, alla scrittura graficamente rigorosa, suggestiva da guardare, dovesse corrispondere una precisione assoluta, ma intensamente partecipe, nell’esecuzione. Il suo testamento artistico si intitola
“ Passione secondo uomini per ogni uomo”,
un oratorio che intendeva esplorare la sofferenza dell’uomanità costretta ormai a un’esistenza da automa, pur nella speranza di una futura rinascita spirutale.
La partitura non è che un abbozzo, e le ultime parole vergate da de Angelis sono una premonizione e una preghiera,
Rai Cultura