07/12/2022
MARIO CAROTENUTO
Collages 1964-1966
al Museo FRaC
𝐒𝐚𝐛𝐚𝐭𝐨 𝟏𝟕 𝐝𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 alle ore 19:00 Gianfranco Valiante Sindaco di Baronissi inaugura la mostra 𝐌𝐀𝐑𝐈𝐎 𝐂𝐀𝐑𝐎𝐓𝐄𝐍𝐔𝐓𝐎 𝐂𝐨𝐥𝐥𝐚𝐠𝐞𝐬 𝟏𝟗𝟔𝟒-𝟏𝟗𝟔𝟔 promossa nell’ambito delle manifestazioni per il centenario della nascita del Maestro e nel ventennale dell’istituzione del Fondo Regionale d’Arte Contemporanea, divenuto poi Museo-FRaC Baronissi, di interesse regionale.
L’esposizione, curata 𝐌𝐚𝐬𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐁𝐢𝐠𝐧𝐚𝐫𝐝𝐢, è stata promossa dal Comune di Baronissi, dal Museo-FRaC e dall’Associazione Culturale “Mario Carotenuto”, con partners i Musei Aiello Moliterno MAM e la Galleria Il Catalogo.
La mostra propone un cospicuo numero di opere, tra collages su tavola, strutture oggettuali praticabili e disegni/collages realizzati dall’artista all’indomani della visita alla Biennale di Venezia del 1964 e l’incontro con le esperienze neodadaiste di Rauschenberg e di Johns.
“La mostra che il Museo-FRaC ha realizzato – dichiara il sindaco Valiante –, dopo un attento lavoro di ricostruzione storico critico, è dedicata, ricordavo in apertura, ad un momento della sua pittura che in pochi conoscono: i collages. È una significativa ma breve stagione che ha segnato l’apertura di un dialogo con quanto accadeva nella sfera dell’arte in quegli anni, negli Stati Uniti, in Francia e in Italia: un periodo di brevissima durata – tra l’estate del 1964 al 1966 – ma che ha segnato profondamente sia l’attività espositiva del Maestro, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero, sia il dibattito all’interno della cultura artistica salernitana. È una pagina di storia che doveva essere ricostruita nella sua pienezza, registrando anche le piccole cadute, la poca lungimiranza della cultura cittadina ma che, trasversalmente, ancora oggi ha la forza di richiamare una riflessione sulla città di quegli anni, sulla sua organizzazione culturale, sulle presenze, le gallerie d’arte che aprivano i loro battenti e il ruolo dei poli culturali in mancanza di strutture pubbliche destinate all’arte contemporanea. La mostra è il segno di quanto l’impegno di questa Amministrazione, che ho l’onore di rappresentare, con coerenza porta avanti, arricchendo di anno in anno l’offerta culturale”.
“Nella compagine delle esperienze artistiche napoletane degli anni Sessanta – scrive nel saggio al catalogo pubblicato per i tipi di Gutenberg Edizioni –, ad un oggetto arcano e denso di mistero, guardavano con interesse sia le esperienze di Renato Barisani con la serie delle granceole, richiamandosi, quindi, ad un mondo ctonio, sia quelle condotte tra il 1960 e il 1963 da Lucio Del Pezzo e, tra il 1964 e il 1966, da Mario Carotenuto, che tessono un dialogo, con accenti diversi, con l’oggetto arcano, impregnato di mistero, fatto risalire dal profondo bacino degli archetipi. È quanto testimoniano le opere di Del Pezzo, quali Il mio paese, del 1962, e l’Ebdomero, del 1963, entrambe connotate da una composizione densa di rilievi, di ex-voti, oggetti di una fede popolare. Per Carotenuto sarà il confronto con la dimensione intimistica, nel quale l’esercizio del greffage diviene operazione di uno scavo, inteso come atto di ribellione, di decisa rottura con l’immagine di un Sud racchiuso nella scenografia della fede. «In questi quadri – affermava l’artista nella mia prima intervista, rilasciatami il 15 gennaio del 1975, nel suo studio alla ‘Torretta’ – c’è sempre il confronto tra gli oggetti deperibili e il cielo che è eterno, sono espressioni, quindi, dell’idea di deperibilità nel tempo. […] C’è lo sfacelo di tutti i fatti del Sud, della nostra zona, dei nostri paesi, della nostra tradizione, della nostra cultura, in contrasto con quel cielo che è bellissimo, limpido, trionfante così come lo vediamo nelle cartoline». A Venezia s’imbatte nei nuovi linguaggi che dilagano sulla scena internazionale dell’arte: dai neodadaisti e popartisti che animano il padiglione U.S.A. (alla sua prima apertura), la cui presenza aveva acceso il dibattito e le polemiche dell’estate ai pittori italiani, penso a Del Pezzo, a Barisani, ad Enrico Bugli, a Rosaria Matarese, ma anche agli esponenti della Scuola di piazza del Popolo. L’impatto con le opere di Oldenburg e di Dine è certamente meno entusiasmante di quello che, il Nostro, avrà con quelle di Rauschenberg e Johns. L’interesse, in particolare per il primo, non è tanto rivolto alla composizione, al suo disordine di materie attinto alla tradizione dadaista, quanto al valore di nuova oggettività data alla materia che trasgrediva l’esaltazione soggettiva ed individualistica, ma anche alla strisciante contestazione di una realtà sociale, delle contraddizioni che essa registra, nonché l’uso di un nuovo paradigma iconografico che, ora, chiama in scena brani attinti, contestualmente, da un’imagerie familiare, unitamente a quella propria della storia dell’arte, dei giornali, dei rotocalchi: insomma l’attrazione, potremmo affermare, verso nuove nozioni visive. Mario aveva ben compreso il tentativo, da parte dei neodadaisti, di dare una nuova ‘prospettiva’ o, meglio ancora, un’oggettività oggettuale che, avrebbe detto Crispolti, è quella dell’oggetto fisicamente presente davanti a noi. Carotenuto non condivide,come attestano i suoi primi collages, il sotteso tendere, soprattutto dei popartisti statunitensi presenti a Venezia, tra questi i più giovani, John Chamberlain, Claes Oldenburg, Jim Dine e Frank Stella, verso un nuovo realismo posto sotto l’insegna della società dei consumi e dei mass media”.