Istituto di Studi Seghistici "Attilio Enki"

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L'Istituto"Attilio Enki" svolge lavoro di ricerca e divulgazione seghistica, trattando la materia in prospettiva storica quanto analitica: puntiamo all'evoluzione della seghistica classica in una disciplina adatta alla complessità della contemporaneità.

In previsione di una nuova quarantena e della conseguente impennata di seghe abbiamo pensato di dedicare una serie di co...
30/10/2020

In previsione di una nuova quarantena e della conseguente impennata di seghe abbiamo pensato di dedicare una serie di conferenze online all'educazione della gioventù. Apriamo il ciclo settimana prossima con l'esperto dott. Attagab che ci parla della sega "Morfeo", ottenuta addormentando le mani tenendole nel freezer per un'ora buona e che provoca un parziale congelamento della prostata con effetti onirico-allucinogeni.

17/10/2020

LA SEGA "CIAO"

Riceviamo e nonostante tutto pubblichiamo dallo stimato collega Bernardo Pitone un'interessante analisi di una sega che collega la Cina all'Italia.
Sega fatta di fretta, guardando l’orologio, l’altra mano impegnata a girare il risotto. Un uomo n**o viene masturbato sul tagliere della cucina assieme alle scorze di verdure. 90 centimetri di carne umana puzzolente di sardina. Parla solennemente di pesci e di civiltà perdute, del Dio Nommo, di Griaule. I suoi occhi sono sbarrati e vitrei e puntano in direzioni diverse.
La ragione del nome va ricercata nell'etimo di "ciao", che deriva dal veneziano "s'ciao" ( a sua volta derivante dal tardo-latino "sclavus", schiavo, implicando "ti sono schiavo"). Chiaramente oltre al significato primigenio della parola conta anche la sua provenienza: questa sega deriva infatti dalle pratiche masturbatorie dei bucanieri della Serenissima. Per tutto il XIII sec. la Repubblica rapisce ed importa dal Mar Nero nani putridi ("sciavi", appunto) nella stiva cogli stocafissi e li masturba per ottenere le storie cupe della loro cultura raccapricciante a scopo divinatorio - attività che finì per provocare la spedizione di Marco Polo, seghista noto e imperterrito ("solo l'errore di un amanuense distratto ci ha trasmesso le parole 'via della seta'", glossa a proposito un commentatore) che non a caso, e in pochi lo sanno, finì i suoi giorni camminando sul ponte dei sospiri perché beccato in pubblica piazza pieno d'oppio a cercare di sbottonare le braghe del doge.
Una sega nata per guardare nel futuro, ora ridotta a una sega frettolosa in cucina, dimentica delle proprie origini, specchio del mutato rapporto dell'umanità con il tempo, non più terra incognita da esplorare ma tiranno a cui cercare, senza troppe speranze, di sfuggire.

26/08/2020

"Ci sono più seghe in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognino nella vostra segologia".

EL CALDILLO DE NEGRILLODi tutte le comunità germanofone sudamericane non si può che definire quella di Antofagasta la pi...
15/06/2020

EL CALDILLO DE NEGRILLO

Di tutte le comunità germanofone sudamericane non si può che definire quella di Antofagasta la più bizzarra. Nata verosimilmente negli anni a partire dal maggio 1945 (non ne esistono tracce anteriori), si caratterizza fin da subito per la sua lunatica scontrosità verso gli abitanti locali e per l'interesse (definito da alcuni morboso) per le popolazioni indigene Licantay e per la loro cultura. Alcuni giornali cittadini non si peritano ad esempio di definire i membri più in vista della comunità "nazisti rifatti, scopacani infidi e maldestri" - e mentre la prima accusa può sembrare sensata la seconda lascia quantomeno perplessi nella sua precisione e originalità. A probabile spiegazione indichiamo che tale Dr. Heriberto von der Chevallerie aveva pubblicato già nel '46 a sue spese in Antofagasta il volume "Soldados y perros: historia de un malentendido", poco più che un'agiografia del militare e intellettuale bavarese Kuno Fickthund volta a riabilitarne la figura presso i circoli di destra cileni, presso cui ancora pesava il giudizio della commissione etica dell'Oberkommando der Wehrmacht (OKW) (comunque non certo nota per la sua sensibilità) che nel '43 già definiva il Fickthund "individuo repellente, malsano e fautore di tecniche primitive e inefficaci nel coito umano-canino ("Befürworter primitiver und ineffektiver Techniken beim Koitus zwischen Mensch und Hund"), da rimuovere senz'altro dalla Interspezies-Koitus-Reichskommission" (IKR). Questa bolsa polemica letteraria ci permette però di intuire la provenienza dell'interesse che H. von der Chevallerie (d'ora in avanti HVDC) e il suo collega Dr. Wilhelm Prellero-Sànchez alimentano per una delle attività tradizionali degli indigeni, la pesca del grongo (v. foto), cui imprimono una svolta decisamente personale e che se da una parte sarà verosimilmente la causa del loro linciaggio nel '51 da una folla di pescatori esagitati, dall'altra darà vita a uno dei passatempi-rituali che hanno reso Antofagasta celebre tra gli studiosi di seghistica contemporanea. Osservata l'abitudine di catturare gronghi agitando l'esca davanti alle loro tane subacque, HVDC e Prellero-Sànchez, verosimilmente memori di un passato nella IKR e senza dubbio incoraggiati dalle smoderate quantità di pisco (distillato locale dal bouquet delicatamente amaro) trangugiate quotidianamente, concepiscono in poco tempo una delle seghe più audaci, complesse e francamente rivoltanti del nostro tempo.
Passiamo direttamente alla descrizione tecnico-operativa pubblicata dai due pionieri pochi giorni prima della loro scomparsa e fortunosamente rinvenuta l'anno scorso:
"Si esca in mare su una imbarcazione di stazza non inferiore alla tonnellata e dotata di attrezzatura per la pesca a traino (o di verricello e carrucola di portata superiore ai 200 kg). Individuata un’area che prometta di essere ricca di gronghi (“reich an Conger Aalen) come tipicamente sono i relitti sommersi, si cali in acqua, preferibilmente in apnea, il praticante [NDR: nella tradizione tenue ma tenace di questa sega colui che si cala in mare viene definito “congrero” (e non congriador o peggio congreador come si dice spesso, sbagliando) ed è oggetto di venerazione quasi mistica dai cultori nonchè più prosaicamente di aggressioni dai pescatori locali]. Sia costui uomo dai saldi principi. Individuata una tana di grongo e accertatosi della presenza dell’animale, il congrero agiti la sua virilità, di certo non lavata per un mese almeno, all’ingresso del nascondiglio per provocare l’attenzione del pesce, che tenterà prevedibilmente di azzannarla. Egli ha a questo punto due scelte: può comba***re una frenetica battaglia di rapidità con il grongo, manipolando il proprio schvanz per impedire che venga addentato e tendando di accecare l’avversario con la propria polluzione (al modo che una seppia o polpo, non a caso anch’essi nemici del grongo, schizzano inchiostro); o può risolutamente farsi addentare, fidando che la tenacia della propria erezione gli impedisca di essere mutilato e costringendo poi il nemico a mollare la presa liberando decisi schizzi nella sua gola dentata. In entrambi i casi si avrà ciò che definiamo “caldillo de negrillo” [NDR: letteralmente “zuppa di grongo”, effettivamente un piatto tipico regionale. Interessante notare come il nome locale del grongo, “negrillo”, sia anche l’epiteto razzista con cui fino a inizio Novecento venivano chiamati i pigmei dell’Africa equatoriale, popolo noto per le sue doti magiche e divinatorie e secondo alcuni per l’uso autoerotico del limo fluviale], una turbinante mistura di furia ittica e seme umano che regala al congrero emozioni contrastanti e gli consegna il suo posto davanti alla storia. Dio è con noi!”.
Testimonianze non verificabili indicano come se il malcapitato animale desisteva dal mollare la presa venisse issato in barca insieme al congrero e qui sottoposto a maltrattamenti di cui preferiamo ignorare i dettagli. È senza dubbio degno di nota che gli ideatori di questa sega siano sopravvissuti abbastanza a lungo non solo da uscire dall’acqua la prima volta ma persino di ripetere l’esperienza; eppure è così, come testimoniato dai referti dell’ospedale di Antofagasta, che riportano i loro numerosi ricoveri “per ferite lacero-contuse tipiche del morso del grongo nell’area lombare”, e dai ricordi dei cittadini più anziani, che ancora rievocano i tempi in cui “los putos alemàn follacongrios” esibivano le loro cicatrici pelviche sulla piazza del porto. Il caldillo de negrillo è ad ora catalogato come reato contro il patrimonio e la morale ad Antofagasta, caso forse unico di convergenza tra istanze economiche ed etiche; la zuppa dallo stesso nome resta invece una delle specialità locali, anche se consigliamo di non ordinarla con accento tedesco.

21/05/2020

LA LUCCHESE

"Entrato ch'i fui al dì di san Giovanni dell'anno del Signore mille e tregento e duodici nella bella e ricca città detta Fiorenze , che del commercio si fé ricca, i' vidi un uomo laido nell'aspetto che, bavando come un ciuco, si percoteva l'inginagghie con le mani ambo, in mezzo alla via, senza che nessuno li badasse; e faceva strani movimenti...": inizia così il rapporto del mercante lucchese Gambro de' Pistocchi su uno dei suoi abituali viaggi commerciali a Firenze. Il motivo per cui sentì il bisogno di annotarlo nelle sue "Croniche Famigliari" è da ricercarsi nell'evento di cui fu testimone in quell'estate del 1312, di cui non disponiamo altre evidenze storiche e che risulta però del massimo interesse per diversi motivi. Proseguiamo quindi con le parole del Pistocchi, interpolate solo da poche note, che conservano intatte il loro vigore e fanno del loro autore un inconsapevole seghista: "moveva le mano all'insò e all'ingiò, unite, battendo col piede diritto [destro] a mezzo cerchio inanzi sè e poi con moto de' lombi ripetendo la cosa col mancino; e tra le mani stringeva, pavonazzo al colore, el suo godiasso, tal che pareva voglierlo istrappare dal corpo, tendendolo distante a sè; e raitava e rugliava con voce non d'uomo, ch'i' temetti fosse un diavolo dello 'nferno venuto a castigare il peccato. Presi a segnarmi, ma un garzone vedendomi si rise e mi disse: ' voi non temete, elli è il Gaboardo che m***a guardia!'".
Pistocchi, chiaramente sbalordito, chiede delucidazioni, e ciò che apprende è forse più sbalorditivo di essere accolto alle porte di una città straniera da un uomo semin**o intento a segarsi a due mani mentre cammina ritmicamente e raglia. Gli viene spiegato che il prodigioso individuo è tale Gaboardo Favollo, e che si comporta così ormai da molti anni; di lui troviamo peraltro menzione nelle "Cronache" di Giovanni Villani, secondo cui "veniva detto dalli amici 'omo indegno di essere così chiamato, cattivo, sporco, calvo ripugnante, battitore [leggi: fornicatore] di cani e oche, sempre laido a' calzoni e alle mani del suo proprio seme vecchio forse d'un meze', tale che e' inimici mugghivano di rabbia a sentirlo chiamare, e volevano correre per la via uccidendolo, e solo sua parentiela co' Gonfalionere di Iustitia li teneva dal ti**re fuori lui il budello di gola". Così Pistocchi: "me'l dissero omo di cattiva fama, citrullo e violento, inabile a' quale che sia lavoro levate che le seghe". Il debito che non solo la nostra disciplina ma la lingua italiana stessa ha col Pistocchi è immenso (e purtroppo poco riconosciuto dalla linguistica) e consiste in questa prima, emozionante occorrenza del termine "seghe" a indicare l'atto masturbatorio, e che basterebbe a giustificare il nostro interesse; ma c'è di più! La sega che descrive è straordinaria e rappresenta uno dei pochi esemplari di sega basso-medievale a noi pervenuti (e vorremmo avere lo spazio per spendere qualche parola in più sulla straordinaria ricchezza di questo mondo, in cui si spazia dalla rozzezza quasi bestiale della Lucchese alla raffinata, consapevole, brutale disciplina del Gran Segone Quasi Completamente Inerziale di Gottig-Vernon).
"El Favollo", continua Pistocchi, "fino dalla prima età soglieva appostarsi sull'uscio delle case e lordare chi ne uscisse con suo rancido seme, fuggendo alla corsa col capo coperto per non esserne preso. Preso che fu però una volta, se ne sparse voce, e da ogni canto della cittade iungevano quelli da lui offesi, pronti a fare carne di lui [tropo medievale: morendo un uomo diventa semplice carne, avendo la sua anima abbandonato il corpo. Segnala usualmente morte violenta o improvvisa], e lo batterono tanto che ne uscì storpio, e gli tennero bocca e naso nell'aceto tanto che ne uscì pazzo. Avrebbono impicarlo voluto, non che suo parente che poi fu Gonfaloniere li pagasse per risparmiare sua vita; e così fecero; e il Gaboardo rimase scianco delle due gambe, e imbecille fotuto". Il pover'uomo viene presto sentito "parlare co' gli angioli"; non passa molto che riprende a "sbregarsi il prellero contro a' muri de' case" e poi a riprendere le sue eiaculazioni all'agguato; ma questa volta, forse consigliato dall sue visioni, non prima di essersi fatto in qualche modo ammettere all'ordine dei frati Lumaconi Flagellati e aver ottenuto una sicura immunità.
Questo accadeva alcuni anni prima della testimonianza del Pistocchi, e possiamo supporre che la salute mentale si fosse deteriorata nel frattempo: in quell'estate del primo Trecento Gaboardo Favollo aveva ormai completato l'elaborazione di quello che non è inesatto chiamare un rituale. Il collega dr. Diwald suggerisce a proposito questa interpetazione sulla componente passeggiatoria della Lucchese: "la camminata semicircolare e la mancata alternanza tra passi destri e sinistri suggeriscono una percezione dell'unità spezzata e della disarmonia, ma anche dell'intenzione di andare avanti e indietro nel tempo rispetto al momento dello sciancamento, de-sacralizzandolo". Ci sentiamo di aggiungere che da come viene descritta, l'attività non prevede un movimento avanti-e-indietro o su-e-giù, ma solo una forte stretta e un violento e continuo tentativo di allontanare da sé la punta del pene - segno per noi sia di esibizionismo e rivalsa, sia di disagio e letterale repulsione per la parte del corpo che il Favollo riteneva responsabile della sua disgrazia. Le ura, i ragli e i muggiti assolverebbero a una simile funzione, come le grida di guerra prima di una battaglia esprimono sia aggressività che paura. Si tratta quindi di un caso di sega ricorsiva: l'inveterata abitudine masturbatoria aveva portato il perpetratore alla rovina, ed era però l'unico legame che gli fosse rimasto con suo sé precedente. Segandosi Gaboardo Favollo annulla la cesura tra prima e dopo e riporta continuità alla sua vita, ma schizofrenicamente riconosce pure questa attività abbia reso tale continuità impossibile - a meno di una continua ripetizione dell'atto, da cui la sua frenesia nel massacrarsi di seghe.
Non ci resta che rendere conto al lettore di due ultime questioni: il nome e la diffusione della sega. La battaglia di Altopascio nel 1325 vide scontrarsi guelfi fiorentini e ghibellini lucchesi, con la sconfitta dei primi; cronisti contemporanei descrivono il comportamento "hostile, abjetto e invasato de' ghibeglini" e alludono a come "camminassono a mezzi passi per dispitto nel campo prima de' la bataglia, frecandosi il pomello"; comportamenti che ai fiorentini sconvolti è plausibile abbiano ricordato le mosse del Favollo. Sega alla Lucchese quindi: e questa ipotesi pare rinfrancata dal nome di "Seghe alla Ghibellina" che gli viene dato in alcuni circoli esoterici neo-tradizionalisti (anche se va detto che in questi ambienti viene praticata con un cavo elettrico spellato infilato nel c**o). La sua diffusione è solida e rapida in tutta la pen*sola come supplemento agli spettacoli teatrali; vedrà un inesorabile declino con l'affermarsi della commedia dell'arte, restando appannaggio di alcuni palii minori dell'appennino toscano e venendo osservata per l'ultima volta nell'estate del 1982 nell'alta valle del Serchio.

07/05/2020

L'ORLANDA

Riceviamo e con comprensibile ritardo pubblichiamo un'analisi decisamente incongrua. Le fonti segnalate, sottoposte a ricerca, portano a risposte seccate e minacciose da parte del Ministero dell'Interno e del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Il mittente, da noi contattato per chiarimenti, si trincera dietro a una litania di urla disumane per telefono e risulta noto alla Questura di Sondrio per "atti biecamente comaschi". Pur nella più totale ambiguità, decidiamo di dare contezza dell'elevato valore documentale di questa bizzarra sega, che possiamo catalogare come tipico esemplare primo-novecentesco, con un breve corpus critico interpolato al testo e indicato con [ndr: ].

"Tecnica questa descritta in maniera lacunosa dal torpido erudito Abdel Allel e dal pensatore P. Amannen, la quale ci mette di fronte ad un dilemma dei più scivolosi, ovvero quello di dove finisca l’autoerotismo e dove inizi il vilipendio di ca****re, nella fattispecie quello di un animale acquatico. Come si può facilmente evincere da alcuni passaggi un tempo pubblici ed adesso parte della celebre istruttoria che infiamma le pescherie più bieche d’Italia ed Piemonte tutto [ndr: la Procura di Cuneo, contattata, rifiuta di commentare e fornire documentazione, minacciando querele e ritorsioni] l’Orlanda è una pratica che mette in relazione due pratiche che fino ad ora pensavamo ben distinte: il coito con noi stessi e la pesca sportiva.
Non siamo ancora in possesso di tutti gli elementi decisivi per descrivere questa funesta pratica, che tuttavia può gettare ed ha gettato alcune tra le vittime più sfortunate all’interno di un baratro di sardine sott’olio e ricatti provinciali, come è ben esemplificato dal torrenziale - è ben il caso di dirlo - romanzo-confessione di Gostosino Orbando, “Giovanotto che avannotto” (1912), in cui il protagonista racconta la propria discesa nel baratro di una branca dell’ittofilia tra le più degradanti, quella di chi pensa che la punta di diamante della sessualità consista nel depositare il proprio seme nel luogo di deposizione delle uova di salmoni fertili - piuttosto impropriamente chiamato “fossa ginecologica” - il tutto reso con passaggi non privi di una certa forza lirica [ndr: l'opera risulta ritirata dal mercato e sottoposta a scomunica da parte della Santa Sede, nonchè oggetto di una circolare repressiva del Ministero nella Guerra nel 1913]. Citiamo ad esempio quello in cui il protagonista, in un monologo via via più sconnesso, inizia a trascurare impiego, amici e famiglia per dare vita al suo f***e progetto: quello di giungere alla propria meta, la sorgente Scarfa, lacero e sconvolto, più pesce che uomo - coperto com’è di pelli accrocchiate a squame rubate ad altri salmoni che non ce l’hanno fatta - e giunto nella grande pozza (si scoprirà più tardi che si tratta della cloaca massima di Seregno) si commuove, si commuove come un bambino - o piuttosto come un avannotto - e convinto com’è di essere l’ultimo maschio rimasto in una crocchia di salmonesse in età più o meno riproduttiva (non è questo il momento di trattare dell’eventuale reato di atti osceni di fronte ad animale minore e non consenziente - le considerazioni su questo spinoso caso giudiziario le lasciamo allo spettabile dott. Tonnelli) si lancia e brancica nella torbida mischia e prende quel che può e vuole ed è lì, nel mezzo di quel turbinio dove non ci sono più pinne o nasi, branchie o ciglia ma è tutto un allegro dai e vai in cui le salmonesse lasciano giù terrorizzate il loro carico di speranze e uova e indi periscono di crepacuore, ed ecco lì lui si sente come in mezzo alle 72 vergini infedeli ed allora sguaina il suo brando e si smandrina e si sparecchia furiosamente e l’acqua è tutto un ribollire bianco e un fiotto e una luce accecante - e quando lui si sveglia sul letto di metallo dell’ombrinatoio, qualunque cosa essa sia, freddo come il mollusco che gli pende tra le gambe scopre di essere stato filmato da dei farabutti che lo ricattano con questa frase memorabile “Vuoi che si sappia che ti piace inzuppare i totani dal verso sbagliato?”, non tenendo conto del fatto che i totani sono esseri di mare e non di acqua dolce. Con questa osservazione un po’ balorda si chiude il frammento a nostra disposizione, temo non l’unico dello scivoloso Orbando. La lettura intiera del romanzo ci è purtroppo impossibile, essendo solo poche pagine consultabili sotto forma di fotocopia in inchiostro di seppia presso la biblioteca di Lornico (LC) (ne approfitto per segnalare che la bibliotecaria ha delle marcate fattezze da bottatrice, e che nel bar antistante la biblioteca, dove sto stendendo questo rapido resoconto, si radunano figuri dall'apparenza cavedanesca).
Che cosa ci racconta questa tavoletta morale? Non lo sappiamo con certezza, anche se la massima che possiamo trarne è qualcosa come “chi rompe baga” [ndr: il "Manuale dei proverbi lombardi" segnala questa curiosa variante del più noto "chi rompe paga" e la attribuisce ad alcune terrificanti pratiche sessuali rituali in uso nel territorio di Baranzate, di cui è detto solo che coinvolgono nutrie e calli putridi], ma la domanda che ci preme a questo punto è un’altra:
in conclusione l’Orlanda cos’è? È un gesto disperato dell’uomo che, non rendendosi conto di non poter controllare la natura né di esserle amico, gli si acquatta di fianco e dimentico di lei e di sé stesso, si perde in qualcosa che non è né io né il Grande Altro, è "Sgurr" [ndr: termine scozzese o comasco con cui si indica una varietà di cose, nessuna piacevole e tutte collegate all'atto di ba***re la testa in una pozza fangosa "n**o ai lombi e con una coda di pescie tra le natiche vizie", come riporta il "Manuale di Antropologia dei Popoli Svantaggiati" di Aldo Coulthard], una sospensione composta della stessa sostanza bituminosa di cui è fatta la guatita cau-cau [ndr: l'Istituto si riserva di non fornire ulteriorei informazioni su questo passo] e la colla degli avvisi di garanzia. Come l'antico paladino Orlando si batte contro gli infedeli a Roncisvalle, così il mucoso masturbatore si dibatte contro orde di salmonidi alla ricerca della chiamata di Dio - un dio che se ci fosse di certo lo fotterebbe giù alle pozze di pece infernali".

La spedizione di ricerca guidata dal dott. Prugnotti si appresta a partire dal campo base di Cherukovka (Jacuzia settent...
19/04/2020

La spedizione di ricerca guidata dal dott. Prugnotti si appresta a partire dal campo base di Cherukovka (Jacuzia settentrionale) per raccogliere materiale sulla sega detta "due renne e un pozzo di torba", rituale fondativo di alcune branche non ortodosse dello sciamanesimo buriata - e per indagare sulla scomparsa della spedizione precedente, mandata capricciosamente allo sbaraglio in abiti estivi e in preda ad un'ebbrezza efferata pochi mesi fa.
Auguriamo vittoria o morte ai coraggiosi esploratori e diffidiamo i nostri lettori dal piazzare scommesse sul loro destino presso allibratori non autorizzati dall'Istituto.

11/04/2020

LA DISPERATISSIMA

Nel marzo 1922 Erminio Zaganeschi, ex-squadrista perugino in crisi d'identità, spese alcune ore in un bo****lo di Milano in compagnia del poeta Reiner Maria Rilke. Ne riportò "vivissima impressione", e nelle sue memorie, di cui ci sono pervenuti alcuni stralci, annota una sega straziante di cui ebbe a discutere con Rilke, e che battezzò "la disperatissima" in pensoso omaggio alla squadraccia di cui aveva fatto parte, e di cui tale sega era un rituale informale. Così Zaganeschi anni dopo descrive la pratica: "gramo e torvo in un angolo della casa, inebetito dal vino, con la barba malrasa e la pelle gonfia. Il pene flaccido e umido d'urina è liscio, freddo e inerte nei mutandoni non cambiati da due giorni. Lo colpisci con una penna come un eroinomane si colpisce il cavo del braccio per trovare la vena: ottenuto un parziale turgore, pallida memoria di giorni migliori, inizi a pattonarti con odio proporzionale alla difficoltà del compito. Non riesci a pensare a nulla se non alla situazione terribile in cui sei messo. È solo con uno sforzo di volontà titanico che riesci a ve**re, digrignando i denti e con le lacrime agli occhi, provocandoti un'acuta lombaggine e uno stiramento vertebrale. Nessun sollievo". Il poeta tedesco, pur antifascista convinto, rimase enormemente impressionato, come testimoniato da una nota della prefettura di Tubinga che lo segnala "intento in pratiche contrarie alla morale cristiana" nei bagni della facoltà di teologia già qualche mese dopo. Che Rilke avesse stabilito una relazione malsana con la penna usata nella prima fase della "disperatissima" è confermato dal suo editore, che racconta come fosse giunto a concordare con un prestigioso fabbricante di stilografiche la sperimentazione di un prototipo, chiamato"la mano della fata del lago" e disegnato appositamente allo scopo. Chi sospira sulla delicatezza dei "Sonetti ad Orfeo", sappia questo: che la mano che li ha scritti, forse ancora pollusa, stringeva una penna nata per la nefandezza ma usata per la sensibilità; e siamo certi che un autore tanto legato alla metafora non abbia scelto per caso di usare un simile tramite per distillare i suoi umori più impuri in nettare per l'anima.
La "mano della fata del lago" non venne mai prodotta al di fuori di quell'unico prototipo; anni dopo la BIC ne acquistò il brevetto, ma ancora non ci giungono notizie di una sua commercializzazione. Niente ci impedisce di pensare che essa venga segretamente fabbricata e impugnata da un'oscura genìa di poeti, succubi di una sega ideata ormai cent'anni fa.

31/03/2020

IL PROVERBIO ARMENO

Durante una visita al monastero armeno di Hagatsin un nostro ricercatore ha rinvenuto degli appunti manoscritti riguardanti una sega definita "il proverbio armeno". La prospettiva schiettamente etnologica dell'autore apre interessanti spazi alla concezione della sega come strumento di affermazione nazionale (è dolorosamente ironico come l'area caucasica, sede della mitologica sega fluviale del dio sumero Enki, trovi nelle seghe uno strumento di separazione nazionalista). Ma procediamo alla descrizione: così il nostro agente descrive "il proverbio armeno":
"pratica folcloristica tradizionale di alcune zone dell'Armenia. Quando qualcuno, specie in giovane età, lamenta noia e assenza di stimoli ("non so che fare"), gli viene tipicamente consigliato, spesso dai genitori, di "sba***re la testa nel muro" (in lingua locale "gluxt tur patin”). Nelle lunghe sere invernali tra le valli non è infrequente notare le due possibili evoluzioni seghistiche di questo infausto metodo educativo, entrambe osservate dall'etnosegologo Humbert Raspa alla fine del XIX sec. (riportate nel quaderno di cui vi invio copia) e catalogate come sottogruppi dell'ur-segone chiamato come sopra: 1) "il muflone frustrato", in cui il praticante dà di testa nella dura pietra cercando di non danneggiare l'area cerebrale afferente al controllo della mano destra (segarsi con la sinistra è considerato abominevole e può portare a ostracismo ed esecuzioni sommarie), con cui cerca di manuturbarsi il più velocemente possibile per chiuderla in fretta e smettere di prendere a testate un muro; 2) "il biacco martire", in cui il praticante cerca di stimolarsi spingendo in una crepa del muro o tra i mattoni la testa del suo ghisallo (Raspa considera notevoli le implicazioni linguistiche di un segone creato a partire da una metafora, e si interroga su quale "testa" abbia dato il nome all'altra in lingua armena), proprio come il serpente detto biacco si insinua tra le rocce. Vale la pena notare che la forma corretta di entrambe le versioni comprende la loro pratica in ambiente esterno: la prima è tipicamente eseguita sul muro portante della propria baita, a significarne la solidità e la propria abilità edilizia; la seconda sui muri casalinghi di un avversario, a sottolinearne la scarsa perizia o l'incuria. Raspa riporta voci di rituali di conflitto blandamente omoerotici in cui un "biacco martire" sulle reciproche case viene risolto con un un "muflone frustrato" in cui i contendenti, tenendosi l'uno alla spalla dell'altro, si tirano zuccate in fronte a vicenda cercando di colpire l'avversario con ciò che in questo caso e solo in questo caso si definisce "lo sputo del muflone"."

30/03/2020

MORBIDONE

Cogliamo l'occasione per rispondere ad un interessante osservazione venuta da uno stimato collega ricercatore, che domandava maggior delucidazioni in merito alla pratica del "morbidone". Lo facciamo con piacere ma altresì consapevoli di inserirci in un'aspra disputa nel campo della seghistica, che negli anni ha dato luogo a discussioni serrate e particolarmente animose. Speriamo quindi di portare, con questo piccolo contributo, ulteriore fieno nel grande granaio della conoscenza seghistica, sempre tenendo ben presente che ogni ricerca non vale tanto per le conclusioni che trae quanto per gli scenari che apre al pensiero.
Per quanto riguarda il morbidone conviene partire dall'ormai classica definizione che ne diede il professor Jacomo Bagaffa nel corso delle sue lezioni di seghistica teoretica all'Università di Locarno (recentemente ristampate in una pregevole edizione da Adelphi). Bagaffa, che era amico e discepolo del Borzacchi, tiene ben fermo come punto di partenza gli "Appunti", e cerca di applicarne anche alla modernità metodi e conclusioni. Riguardo al morbidone, egli si esprime così: "il termine morbidone presenta due accezioni diverse: 1) tendenza masturbatoria tipica dell'età avanzata, condotta e portata a termine in assenza di "erectio fallis" 2) Attività masturbatoria condotta con l'ausilio di apparati esterni teneri al tatto (tipicamente un asciugamano inumidito alla bisogna) e adatti dunque all'immersione in profondità"
Non sfuggirà, anche nelle pacate e puntuali parole dello studioso, il problema che diverrà sempre più chiaro al Bagaffa nel proseguo della sua attività scientifica, e che troverà una definitiva sistemazione nella successiva opera "Il morbidone. Fenomenologia di una questione irrisolta" (UTET, 1972). Se infatti la prima definizione rientra appieno nel modello Borzacchi (che già all'epoca cominciava a ricevere qualche critica in ambito extra-accademico perché considerato eccessivamente rigido e ormai sorpassato), poiché si poteva in realtà considerare il morbidone come nient'altro che una variante senile del grigione, o nelle belle parole di Bagaffa "una sorta di grigione esistenziale, in cui l'abituale ambito domenicale viene trasfigurato su una diversa dimensione del tempo, considerandosi vicini al crepuscolo non della settimana ma dell'intera attività erotico-onanistica", la seconda parte della definizione lasciava aperti parecchi nodi: una pratica masturbatoria coadiuvata da fattori esterni poteva essere considerata come una reale sega? L'uso di apparati extracorporei non ne rappresentava forse invece "un'errata distorsione, un'ingiustificata deviazione dal sentiero della seghistica, in definitiva un'aberrazione"? Pur dichiarando di restare esso stesso molto colpito dal dilemma, Bagaffa decise in ultimo per questa lettura, dichiarando il morbidone legittimo solo nella sua accezione senile e solo in quanto sottocategoria del grigione.
Immediate furono le polemiche. Circolò pochi anni dopo un anonimo pamphlet, che per quanto rigettato dall'accademia ufficiale godette di molta fortuna tra i lettori più giovani. Si intitolava "Manifesto del morbidone - Per una nuova storia della seghistica". Oltre ad affermare la piena legittimità ed anzi la nuova apertura di orizzonti teoretici e pratici rappresentata dal morbidone, il libello prendeva di mira in particolare la coppia Borzacchi-Bagaffa, definiti "retrogradi incancreniti, vecchi eruditi lontani anni luce da una seghistica reale e soprattutto viva, non più mera disciplina scolastica ma pratica costante di emancipazione del sé". Lasciamo giudicare al lettore, riportando il succo della proposta del Manifesto (audace per l'epoca ed estremamente attuale): "è vicino il giorno in cui l'umano sarà integrato o superato dal progresso tecnologico. Che questo avvenga letteralmente o metaforicamente poco importa: il futuro è un individuo che si sega con mano meccanica ricoperta di polimeri plastici riscadati da circuiti elettrici, tanto quanto un individuo così accessorio al complesso industriale da poterne considerare la mano (pur organica che sia) come un "apparat[o] estern[o] tener[o] al tatto" Similmente, la 'morte del tempo' che è la cifra della comtemporaneità rende le nostre vite un'eterna domenica, non intesa come tempo del riposo ma dell'attesa del ritorno al lavoro: è quindi evidente che la distinzione del "morbidone bagaffiano" tra versione senile e meccanica non ha senso di essere. Siamo tutti vecchi privi di stimoli e tutti storpi aggrappati alle nostre protesi: riconoscere, abbracciare e organizzare questa disperazione è la sola strada per una seghistica che si decida non a catalogare ma a cambiare il mondo".
Per il lettore che voglia approfondire consigliamo "La guerra del Morbidone" (Il mulino 1999) del dott. B. Ruggente, che ripercorre in particolare il fitto carteggio intrattenuto da Bagaffa con i suoi oppositori.
La questione è ben lungi dal potersi considerare chiusa. Come Istituto facciamo nostre - sempre ribadendo che si tratta di una ricerca in itinere - le parole che il dott.Ruggente usa nella postfazione al suo già citato libro:
"Se accusare uno studioso della levatura di Bagaffa di mero accademicismo è non solo ingeneroso ma anche scientificamente inesatto, è altresì da sottolineare come quest'improvvisa e violenta polemica segnalò per prima la necessità di ampliare una scienza che faceva torto ai propri stessi maestri mentendosi sempre al sicuro nell'alveo dei loro studi. Forse non è ancora giunto il tempo in cui potremo esprimerci con chiarezza rispetto al morbidone, ma non sono poche ormai le ricerche che fanno cenno alla seghistica verso territori inesplorati e finora eccessivamente misconosciuti"

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