21/05/2020
LA LUCCHESE
"Entrato ch'i fui al dì di san Giovanni dell'anno del Signore mille e tregento e duodici nella bella e ricca città detta Fiorenze , che del commercio si fé ricca, i' vidi un uomo laido nell'aspetto che, bavando come un ciuco, si percoteva l'inginagghie con le mani ambo, in mezzo alla via, senza che nessuno li badasse; e faceva strani movimenti...": inizia così il rapporto del mercante lucchese Gambro de' Pistocchi su uno dei suoi abituali viaggi commerciali a Firenze. Il motivo per cui sentì il bisogno di annotarlo nelle sue "Croniche Famigliari" è da ricercarsi nell'evento di cui fu testimone in quell'estate del 1312, di cui non disponiamo altre evidenze storiche e che risulta però del massimo interesse per diversi motivi. Proseguiamo quindi con le parole del Pistocchi, interpolate solo da poche note, che conservano intatte il loro vigore e fanno del loro autore un inconsapevole seghista: "moveva le mano all'insò e all'ingiò, unite, battendo col piede diritto [destro] a mezzo cerchio inanzi sè e poi con moto de' lombi ripetendo la cosa col mancino; e tra le mani stringeva, pavonazzo al colore, el suo godiasso, tal che pareva voglierlo istrappare dal corpo, tendendolo distante a sè; e raitava e rugliava con voce non d'uomo, ch'i' temetti fosse un diavolo dello 'nferno venuto a castigare il peccato. Presi a segnarmi, ma un garzone vedendomi si rise e mi disse: ' voi non temete, elli è il Gaboardo che m***a guardia!'".
Pistocchi, chiaramente sbalordito, chiede delucidazioni, e ciò che apprende è forse più sbalorditivo di essere accolto alle porte di una città straniera da un uomo semin**o intento a segarsi a due mani mentre cammina ritmicamente e raglia. Gli viene spiegato che il prodigioso individuo è tale Gaboardo Favollo, e che si comporta così ormai da molti anni; di lui troviamo peraltro menzione nelle "Cronache" di Giovanni Villani, secondo cui "veniva detto dalli amici 'omo indegno di essere così chiamato, cattivo, sporco, calvo ripugnante, battitore [leggi: fornicatore] di cani e oche, sempre laido a' calzoni e alle mani del suo proprio seme vecchio forse d'un meze', tale che e' inimici mugghivano di rabbia a sentirlo chiamare, e volevano correre per la via uccidendolo, e solo sua parentiela co' Gonfalionere di Iustitia li teneva dal ti**re fuori lui il budello di gola". Così Pistocchi: "me'l dissero omo di cattiva fama, citrullo e violento, inabile a' quale che sia lavoro levate che le seghe". Il debito che non solo la nostra disciplina ma la lingua italiana stessa ha col Pistocchi è immenso (e purtroppo poco riconosciuto dalla linguistica) e consiste in questa prima, emozionante occorrenza del termine "seghe" a indicare l'atto masturbatorio, e che basterebbe a giustificare il nostro interesse; ma c'è di più! La sega che descrive è straordinaria e rappresenta uno dei pochi esemplari di sega basso-medievale a noi pervenuti (e vorremmo avere lo spazio per spendere qualche parola in più sulla straordinaria ricchezza di questo mondo, in cui si spazia dalla rozzezza quasi bestiale della Lucchese alla raffinata, consapevole, brutale disciplina del Gran Segone Quasi Completamente Inerziale di Gottig-Vernon).
"El Favollo", continua Pistocchi, "fino dalla prima età soglieva appostarsi sull'uscio delle case e lordare chi ne uscisse con suo rancido seme, fuggendo alla corsa col capo coperto per non esserne preso. Preso che fu però una volta, se ne sparse voce, e da ogni canto della cittade iungevano quelli da lui offesi, pronti a fare carne di lui [tropo medievale: morendo un uomo diventa semplice carne, avendo la sua anima abbandonato il corpo. Segnala usualmente morte violenta o improvvisa], e lo batterono tanto che ne uscì storpio, e gli tennero bocca e naso nell'aceto tanto che ne uscì pazzo. Avrebbono impicarlo voluto, non che suo parente che poi fu Gonfaloniere li pagasse per risparmiare sua vita; e così fecero; e il Gaboardo rimase scianco delle due gambe, e imbecille fotuto". Il pover'uomo viene presto sentito "parlare co' gli angioli"; non passa molto che riprende a "sbregarsi il prellero contro a' muri de' case" e poi a riprendere le sue eiaculazioni all'agguato; ma questa volta, forse consigliato dall sue visioni, non prima di essersi fatto in qualche modo ammettere all'ordine dei frati Lumaconi Flagellati e aver ottenuto una sicura immunità.
Questo accadeva alcuni anni prima della testimonianza del Pistocchi, e possiamo supporre che la salute mentale si fosse deteriorata nel frattempo: in quell'estate del primo Trecento Gaboardo Favollo aveva ormai completato l'elaborazione di quello che non è inesatto chiamare un rituale. Il collega dr. Diwald suggerisce a proposito questa interpetazione sulla componente passeggiatoria della Lucchese: "la camminata semicircolare e la mancata alternanza tra passi destri e sinistri suggeriscono una percezione dell'unità spezzata e della disarmonia, ma anche dell'intenzione di andare avanti e indietro nel tempo rispetto al momento dello sciancamento, de-sacralizzandolo". Ci sentiamo di aggiungere che da come viene descritta, l'attività non prevede un movimento avanti-e-indietro o su-e-giù, ma solo una forte stretta e un violento e continuo tentativo di allontanare da sé la punta del pene - segno per noi sia di esibizionismo e rivalsa, sia di disagio e letterale repulsione per la parte del corpo che il Favollo riteneva responsabile della sua disgrazia. Le ura, i ragli e i muggiti assolverebbero a una simile funzione, come le grida di guerra prima di una battaglia esprimono sia aggressività che paura. Si tratta quindi di un caso di sega ricorsiva: l'inveterata abitudine masturbatoria aveva portato il perpetratore alla rovina, ed era però l'unico legame che gli fosse rimasto con suo sé precedente. Segandosi Gaboardo Favollo annulla la cesura tra prima e dopo e riporta continuità alla sua vita, ma schizofrenicamente riconosce pure questa attività abbia reso tale continuità impossibile - a meno di una continua ripetizione dell'atto, da cui la sua frenesia nel massacrarsi di seghe.
Non ci resta che rendere conto al lettore di due ultime questioni: il nome e la diffusione della sega. La battaglia di Altopascio nel 1325 vide scontrarsi guelfi fiorentini e ghibellini lucchesi, con la sconfitta dei primi; cronisti contemporanei descrivono il comportamento "hostile, abjetto e invasato de' ghibeglini" e alludono a come "camminassono a mezzi passi per dispitto nel campo prima de' la bataglia, frecandosi il pomello"; comportamenti che ai fiorentini sconvolti è plausibile abbiano ricordato le mosse del Favollo. Sega alla Lucchese quindi: e questa ipotesi pare rinfrancata dal nome di "Seghe alla Ghibellina" che gli viene dato in alcuni circoli esoterici neo-tradizionalisti (anche se va detto che in questi ambienti viene praticata con un cavo elettrico spellato infilato nel c**o). La sua diffusione è solida e rapida in tutta la pen*sola come supplemento agli spettacoli teatrali; vedrà un inesorabile declino con l'affermarsi della commedia dell'arte, restando appannaggio di alcuni palii minori dell'appennino toscano e venendo osservata per l'ultima volta nell'estate del 1982 nell'alta valle del Serchio.