
09/03/2013
Le Porte Scee
Veronica Valeri non è artista a tesi o facile alle reminiscenze. Vive un unico progetto: la sua creatività per il raggiungimento di una purezza di tratti essenziali. E quando la tonalità del colore disegna una forma, questa non è più oggetto ma simbolo inconscio di un processo. E la ripetitività del segno, mai però uguale a se stesso, portato con incessante sforzo rende la materia diafana ed inconsistente. È cammino a volte tranquillo a volte convulso il suo avvicinarsi alla luce: luce imprigionata nelle fenditure della materia o liberata improvvisamente ed allora si fa spazio, luce che irrompe da o per e non ci è dato saperlo. Noi, empaticamente legati a questa artista, sentiamo che ciò che risplende ed abbaglia nella sua pittura è luce senza tempo, luce astratta e non fredda che, solo chi s’è incamminato per raggiungerla, può riconoscere ed essere tutt’uno con essa.
Ed allora il cammino per l’irraggiungibile o il ritorno all’indistinto. È come se Veronica, nella coscienza di sé, sapesse che l’irraggiungibile è l’invalicabile, porte che si schiudono ma non si spalancano, porte che tengono lontano i nemici per proteggere i propri figli, porte, sempre porte che lei raffigura maestose e risplendenti come a volerci raccontare una storia di millenni fa.
Alle Porte Scee si consuma un dramma, il primo dramma che la coscienza occidentale ha riconosciuto quale primo atto della pietas: mettersi in salvo, in nome dell’amore per la propria donna e il proprio figlio, ma Ettore si piega al destino e si ricongiunge ai compagni e troverà la morte. Nulla di utilitaristico tiene Veronica al di qua e già si annuncia che è pronta senza ybris a sacrificare tutto di sé, al di là già intravede, in comunità con gli altri, la salvezza.
F.I.
LE PORTE SCEE
Le porte scee, ovvero le porte del destino di T***a. Davanti ad esse fu ucciso Ettore e attraverso le quali fu fatto entrare il fatale cavallo.
Alle spalle di “Ettore e Andromaca” di De Chirico, le porte delimitano ai lati la composizione pittorica e la loro posizione sghemba ne identifica il carattere tragico. Nell’opera di Veronica Valeri le fasce dipinte chiudono lo spazio, offuscano la visione e incutono timore, mentre la fessura centrale, a volte quasi uno squarcio, fa intravedere uno spiraglio che sembra trasmettere una luce diffusa, la ricerca di un cammino, un richiamo di speranza, ma il passaggio stretto e periglioso fra grumose colonne di scuro colore lascia piuttosto presagire il pericolo di uno spazio incognito e rischioso .
Porte scee, ma anche potrebbero definirsi come porte o finestre del cielo e al contempo porte stigie, perché cosa c’è dietro quelle aperture come crepe, lacerazioni dell’anima, in fondo a quello che sembra somigliare a un tunnel spazio-temporale? Una duplice interpretazione si fa strada davanti ai nostri occhi, tra una luce misteriosa che si propone come invito al divino e la possibilità di una alternativa discesa verso il mondo degli inferi.
È il mistero di una luce oscura, offuscata che alimenta il dubbio, perché altre volte queste concrezioni luminose si mettono in evidenza ponendosi in primo piano, non come soglie di confine ma di per se stesse evidenti, come fossero forme pure trascendenti, tracce di epoche remote, obelischi, stalagmiti poliedriche entro grotte cubiformi, svettando in un’idea di trascendenza, fuoriuscita dal reale alla ricerca di un segreto, enigmatico divino. Visione, quindi, non spinta verso una centrifuga profondità ma verso una centripeta tridimensionalità della superficie, in un’ambivalente entropia formale.
Questa aspirazione ad una luminosità ultraterrena, ottenuta con uno studio sulle pigmentature aspre che produce gialli marci e verdi muffiti, verso un soprannaturale che traspare nei titoli delle opere e, a volte, negl’intenti e dalle didascalie dell’artista correlate alle stesse, ha le sue origini nel mito, nell’espressione tribale di antiche civiltà. Il risultato di questa ricerca si traduce, così, nella elaborazione e formulazione timbrica di strisce di colore, che alludono ad una finta matericita’, sovrapposte e convergenti, frutto di una pittura tattile e corposa, di forte pregnanza totemica, allusiva e significante.
L’ ispirazione o, meglio, l’origine tribale e totemica del segno espressivo caratterizzante dell’artista ancora meglio la vediamo concretizzarsi e realizzarsi pienamente nell’opera scultorea, altro aspetto della produzione artistica di Veronica Valeri, non meno interessante .
Sono provenienti da culture sconosciute e lontane queste composizioni di case, ricoveri fatiscenti, ricoperti da tracce filamentose come bava di ragni ultraterrestri, con legacci e corde intrecciate di liane a imprigionare edifici e forme come spazi di una umanità ostaggio di esseri e natura paranormali ,nemici e terrorizzanti. Anche qui ritroviamo l’ispirazione ambivalente, che da una parte soffoca e costringe la forma in un viluppo di linee e materia che si contorce su se stessa come il bozzolo di una crisalide, dall’altra la sempre presente aspirazione e lo slancio verso l’alto producono costruzioni che sembrano a volte evocare il “Monumento alla III Internazionale” di Tatlin .
Mentre nei dipinti ritroviamo echi lontani dell’opera di Massimo De Luca, nelle sculture è evidente la derivazione dalle storiche tramature di Scanavino, ma nella nostra artista tutto questo è semplice risonanza di un’arte contemporanea che miscela e si rabbocca, perché la sinuosità e la pastosità, con cui assembla e avvolge le sue creazioni , ne rendono palese l’originalità, ricca di già intuibili sviluppi futuri, l’ispirazione e il percorso unico, nel segno dell’implosione e dell’esplosione sempre sapientemente congegnate.
Gianfranco Evangelista